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AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI VITERBO

 

EMERGENZE ARCHEOLOGICHE E STORICO ARTISTICHE


 
Comune: Arlena di Castro
Località: La Piantata
Soggetto: Tomba etrusca dipinta
Coordinate:

 

1. Tomba etrusca dipinta

In località La Piantata, sul lato orientale della strada provinciale Arlena-Piansano, sul versante occidentale di una piccola collina che digrada verso il Fosso della Vena, a circa m. 300 in direzione S dal Km. 3 della strada provinciale, si apre un profondo scavo, opera di ignoti, in corrispondenza dell’ingresso di una tomba a camera ipogea con decorazione dipinta e iscrizione onomastica.

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Interno della tomba

Il monumento, sicuramente sconosciuto, è stato rinvenuto dietro segnalazione di gente del posto, in alcune ricognizioni effettuate nel 1982 e prontamente segnalato alla competente Soprintendenzal. Quest’ultima ha provveduto in anni successivi allo scavo e alla recinzione della tomba.
Al momento del rinvenimento l’accesso alla tomba era permesso dal foro verticale praticato dai clandestini in prossimità della porta, profondo oltre m. 5,5. Il dromos era completamente interrato ma dal declinare della collina e dalla profondità si evinceva una sua notevole lunghezza, sicuramente oltre m. 10. Anche il vano della porta, largo m. 0,80, era quasi completamente interrato e di conseguenza non misurabile in altezza; l’intradosso si presenta piuttosto consunto causa la friabilità della roccia e la manomissione dei clandestini per introdursi nella tomba.
All’interno emergevano tra l’interro grossi pezzi lavorati di pietra locale, pertinenti a casse e coperchi di sarcofagi; tra essi ben visibile un coperchio displuviato. Nessun tipo di decorazione era visibile negli altri pezzi. La camera è a pianta rettangolare, lunga m. 3,5 (sul columen) e larga m. 4,10 in corrispondenza della parete di fondo. La parete destra nel punto in cui si incontra con la parete di ingresso, presenta un approfondimento di m. 0,30, largo m. 0,70, realizzato per facilitare l’alloggiamento di un sarcofago. Il soffitto, realizzato con notevole finitezza, è scolpito ad imitazione dell’intelaiatura lignea di un tetto reale: il columen è a sezione rettangolare, rilevato m. 0,6 largo m. 0,25 in media e poggia alle estremità su due mensole rettangolari rilevate dalla parete; i cantherii sono leggermente meno rilevati del columen, larghi mediamente m. 0,16.
Particolarmente rilevante è la decorazione pittorica bicroma che impreziosisce l’interno della camera, stesa direttamente sulle pareti senza alcuna preparazione preliminare. Sulla parete di fondo, nonostante il deperimento dovuto al tempo e alle offese degli scavatori clandestini, sono ancora visibili due scudi circolari. Quello di destra è delimitato da due incisioni concentriche e quadripartito in settori dipinti alternativamente in rosso e nero; quello di sinistra è circoscritto da una sola incisione, quadripartito da due fasce rosse a croce di s. Andrea, marginate da linee incise, i settori sono campiti di colore nero. Entrambi gli scudi misurano m. 0,30 di diametro. Accanto allo scudo di sinistra compare l’iscrizione analizzata di seguito. Anche il columen è dipinto in rosso, i cantherii, invece, sono dipinti alternativamente in rosso e di nero con gli spazi intermedi risparmiati e attraversati da righe nere, spesse m. 0,01, parallele al columen, distanti tra loro da m. 0,40 a m. 0,30, rappresentanti la scansione delle tegole. La decorazione pittorica è completata da un fascione rosso, alto mediamente m. 0,30, che percorre tutte le pareti subito sotto il soffitto, seguendo l’andamento degli spioventi e interrompendosi solo in corrispondenza dell’approfondimento nella parete destra e a m. 0,60 da ogni lato della porta.
Sull’interro si sono notati alcuni frammenti ceramici e ossei, tra cui:

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Frammenti del corredo della tomba
  1. frammento di ceramica acroma a pasta rosata e fine;
  2. frammento di parete di anfora a pasta rosa con inclusi sabbiosi;
  3. frammento di vaso di medie dimensioni eseguito al tornio (poculum) pasta di colore bruno scuro sulla superficie esterna, bruno chiaro sulla superficie interna, numerosi inclusi grossolani;
  4. frammento di coppa a vernice nera comprendente il fondo a parte della vasca, piede ad anello, pasta rosa e fine, vernice lucida con rilfessi blù che risparmia il piede (data per immersione). Si conserva parte della decorazione realizzata a impressione sul fondo della vasca: stampiglie a palmetta entro fascia circolare di trattini obliqui.

L’iscrizione dipinta presso lo scudo di sinistra si presenta di ardua lettura a causa della friabilità del supporto che ha provocato la caduta di cospicui frammenti di pellicola pittorica. Dopo un paziente lavoro di analisi e integrazione dei segni residui si è giunti alla seguente interpretazione: caea: satnas. Si tratta di una semplice formula onomastica bimembre riferita ad un individuo di sesso femminile, probabilmente il primo sepolto nella tomba, data la coerenza dell’iscrizione con tutto l’apparato decorativo dell’ipogeo. L’epigrafe si sviluppa con ductus sinistrorso impiegando i segni alfabetici caratteristici dell’area etrusca centrale in età ellenistica. Dal punto di vista paleografico, tra i numerosi confronti che si possono stabilire, i più stretti ci riconducono all’ambiente tarquiniese con CIE 5425 (su sarcofago) e particolarmente, per lo stesso sistema di scrittura dipinta con CIE 5386 e CIE 5401 (Tomba degli Scudi).

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Iscrizione all'interno della tomba

Coerente a questa tradizione scrittoria è anche la separazione tra i due membri con due punti disposti verticalmente. Dall’analisi morfologica della formula emerge la particolarità del gentilizio al genitivo accanto al prenome del nominativo, secondo un uso non generalizzato ma già noto in alcune iscrizioni arcaiche e più diffuso in età recente, significante derivazione o appartenenza dell’individuo ad un gruppo gentilizio e che consente di estendere a tutta l’espressione la funzione soggettiva. Il prenome Caea ha probabilmente origine dall’italico Caius, in etrusco Cae (maschile) che troviamo principalmente diffuso in area chiusina, perugina e volsiniese; la sua attestazione più meridionale sembra essere, a quanto è dato finora sapere, Norchia con CIE 5869. Il femminile Caea si trova anche nella forma Gaia, variamente declinata, in iscrizioni provenienti dalle stesse aree dove è attestata al maschile. I confronti più diretti con questo prenome si possono stabilire con caea: capsnei (Bolsena, CIE 5163) e con caea: cetisnas (Orvieto, CIE 5134), parallelo morfologico all’iscrizione arlenese. Il gentilizio satna è diffuso nelle stesse aree del prenome, con maggior numero di attestazioni e una serie di varianti fonetiche, grafiche e morfologiche, segno di un largo e prolungato uso nel tempo del medesimo: satanas, satena, satene, satne, sathna, satna, satnal, satnas,satnas, satnei, satnea. Ma tra tutti l’unico documento epigrafico direttamente confrontabile per la grafia e la funzione del gentilizio è una iscrizione proveniente da Bagnoregio, incisa su un cippo a pigna caratteristico dell’area orvietana: tasma: satnas. Sono da rilevare infine un paio di casi in cui, come nella iscrizione di Arlena, il prenome cae e il gentilizio satna sono. associati; entrambi gli esempi provengono dall’agro chiusino: laris: cae: larisal: sathnal: (Città della Pieve, CIE 4847) e petrui: ls: caes: satnal (Città della Pieve, CIE 4848).Dall’analisi delle attestazioni si deduce la provenienza settentrionale, probabilmente chiusina di entrambi i membri della formula onomastica; ipotesi corroborata dalla considerazione che, almeno finora, le forme più antiche del gentilizio sono testimoniate ad Orvieto (satanas, CIE 4939) e a Perugia satena, CIE 4338). Altra importante attestazione di questo gentilizio in ambiente umbro, cristallizzatosi in una denominazione decuviale, è satanes che compare nel testo rituale delle tavole di Gubbio.
Se i caratteri intrinsechi dell’iscrizione riportano ad un ambiente settentrionale, la sua paleografia e i connotati tipologico-decorativi della tomba in cui essa si trova, denotano una stretta dipendenza tarquiniese.

Il significato di questa ambivalenza presente nella tomba della Piantata, è quello di collegamento tra Tarquinia e le zone settentrionali interne dell’Etruria, attraverso un percorso che aggirava da O il lago di Bolsena, toccando, probabilmente, Piansano e Grotte di Castro.
La tomba è databile, per quanto si deduce da una serie di elementi derivati dalla tipologia architettonica e decorativa che trovano paralleli in varie tombe dipinte di Tarquinia, all’ultimo quarto del IV secolo a.C.. Il dromos stretto e lungo che immette in un vano quasi quadrato, pur non essendo esclusivo del periodo suddetto, costituisce elemento di notevole coerenza cronologica. Il soffitto a due spioventi con travatura dipinta e in rilievo, di origine arcaica, è ancora in uso, con pendenze attenuate, come nel nostro caso, in epoca protoellenistica; e prelude, almeno in ambito tarquiniese, alla successiva e generalizzata forma piana o curva delle coperture.
Anche il frammento di ceramica a vernice nera ha forte valore orientativo. Inoltre, importanti coordinate cronologiche utili ad inquadrare la tomba della Piantata, sono da una parte la tarquiniese Tomba degli Scudi (340 a.C.), già citata anche per i confronti paleografici, dall’altra la tomba Giglioli, ugualmente tarquiniese, (300 a.C.) che esibisce un ricco fregio d’armi dipinto sulle pareti. Non direttamente confrontabili perché più tarde ma comunque da citare per il motivo degli scudi dipinti, sono la tomba dei Festoni di Tarquinia (metà III secolo a. C.) e la tomba Tassinaia di Chiusi (Il secolo a. C.).
I due scudi dipinti sulla parete di fondo della tomba arlenese, trovano quindi riscontro in una maniera decorativa della pittura etrusca di età ellenistica che, memore forse di alcuni prototipi arcaici quali la tomba Campana di Veio ed altri noti esempi ceretani, si ispira ai fregi d’armi presenti in alcune tombe macedoni, attraverso la mediazione culturale apula. Questa connessione artistica e le sue implicazioni ideologiche in ambiente etrusco, sono state ampiamente illustrate nello studio di M. Cristofani sul fregio d’armi della tomba Giglioli di Tarquinia, a cui si rimanda anche per l’apparato critico.

 


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