prov.gif (9302 byte)

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI VITERBO

 

EMERGENZE ARCHEOLOGICHE E STORICO ARTISTICHE


 
Comune: Arlena di Castro
Località: centro urbano
soggetto: chiesa di S. Giovanni
Coordinate:

 

38.jpg (1101230 byte)La chiesa di 5. Giovanni e l’oratorio del Santo Sepolcro (Tavv. XXI, XXII, XXIII, XXIV, XXV, XXVI, XXVII)
L'attuale edificio della chiesa parrocchiale di 5. Giovanni è la risultante della trasformazione settecentesca di una struttura essenzialmente nata sullo scorcio del XVI secolo,16 a sua volta probabilmente rifacimento di un edificio più antico.
La chiesa ha un semplice impianto icnografico: l’interno è a navata ùnica coperta da un soffitto ligneo e illuminata da due finestre semicircolari per ogni lato. La zona del presbiterio è rialzata di tre gradini e divisa dalla navata da un arcone che reca la scritta dedicatoria: "NON SURREXIT MAJOR JOANNE BAPTIS TA"; è coperta da volta a botte rotta da due unghie laterali nelle quali si inscrivono finestre rettangolari.
Le fonti ci tramandono come la parrocchiale avesse officiati cinque altari: 5. Giovanni Battista, cui è intitolata la chiesa; la Madonna del Rosario e l’Immacolata Concezione, sulla parete destra; le Anime Sante del Purgatorio e 5. Antonio da Padova, sulla parete sinistral7.
L’apparato decorativo al suo interno è modesto, vi fanno però spicco due grandi tele di buona fattura che ancora oggi ornano gli altari dedicati alle Anime Sante del Purgatorio e alla Madonna del Rosario. Due temi tra quelli più diffusamente trattati dalla pittura controriformistica e, in particolare il primo, tra i più problematici, in considerazione del fatto che proprio la disputa sulle indulgenze era uno dei temi di fondo della riforma protestante.
L’impaginazione della tela con le Anime purganti è complessa e magniloquente, tipica delle grandi pale d’altare seicentesche: le figure della Vergine, di 5. Giuseppe e dei tre angeli che sollevano le Anime purganti, sono organizzate a formare un chiasmo che rappresenta l’elemento di raccordo tra quest’ ultime, poste nella par
te bassa della tela in un primo piano incombente, e la Trinità che sovrasta la composizione con accentuata fuga prospettica in profondità. La colomba dello Spirito Santo e l’angelo al centro del dipinto vengono, inoltre, a rappresentare i vertici di due triangoli equilateri: il primo è lo spazio del Purgatorio, il secondo adombra la dimensione sublime e illimitata del Paradiso. La pedana di nuvole a ferro di cavallo, sulla quale sono inginocchiati la Vergine e s. Giuseppe in atto di intercedere presso l’Eterno, segna la cesura tra le due dimensioni. La gamma cromatica è scarna, basata su note cupe di varie gradazioni di marrone, le cui dissolvenze chiaroscurali risentono ancora fortemente della suggestione caravaggesca, vissuta in termini fortemente personalizzati che ne risolvono la eversiva tensione morale in direzione di un dramma da sacra rappresentazione di forte impronta devozionale. L’opera è databile non oltre la metà del secolo e, forse, un suo termine post quem si può individuare nella data di erezione della parrocchia, approssimativamente collocabile agli inizi del ‘60018.
Quale pendant di questa è, sulla parete destra, la tela con la Madonna del Rosario. Essa raffigura la Vergine col Bambino tra i santi Domenico, in atto di ricevere la corona del Rosario e Luigi Gonzaga, una figura femminile priva di aureola e due angeli incoronanti. Quindici ellissi con i misteri del Rosario, contornano la composizione. L’iconografia presenta una anomalia rispetto a quella vigente canonica: lo spazio dove abitualmente compare s. Caterina è qui occupato dalla figura femminile priva dell’aureola, connotata, però, dagli attributi caratteristici della santa, il giglio e il libro; l’abito all’antica del personaggio contribuisce a rendere ancora più problematica la sua identificazione.

43.jpg (503943 byte)

La macchina pittorica presenta una raffinata organizzazione: essa sviluppa un moto ascensionale spiraliforme che ha il suo punto di partenza nel cagnolino raffigurato in basso, assonanza-sovrapposizione con il nome dell’ordine di s. Domenico: domenicani = domini-canes; e il suo verso di lettura nella torcia che questo tiene in bocca, simbolo della missione predicatoria dell’ordine.
Nella composizione si interpone in maniera anomala la figura di s. Luigi Gonzaga, un evidente episodio successivo, il cui termine ante quem non può non essere successivo al 1726, anno della sua canonizzazione, una data chiaramente posteriore alla formulazione stilistica del dipinto; in via ipotetica, si può proporre come data dell’esecuzione dell’aggiunta il 1729, anno in cui s. Luigi viene eletto da papa Benedetto XIII patrono della gioventù cristiana, o un periodo di poco successivo.
Sul piano stilistico si coglie una netta distinzione formale tra la buona qualità delle figure principali e la scrittura corsiva, spicciola delle scene con i misteri del Rosario. Le figurine che compaiono in queste ultime sono rese di getto, con fare impressionistico senza ausilio di disegno; è però notevole la loro capacità narrativa pervasa da un’intima agitazione colma di pathos, in cui si esprime forte l’ideale didascalico e devozionale. Il loro verso di lettura segue tre diverse direzioni: a destra, dal basso in alto, sono raffigurati i misteri dolorosi; a sinistra, col medesimo andamento, i misteri gaudiosi; in alto con andamento destrorso, i misteri gloriosi.
L’autore di questo dipinto tradisce una cultura figurativa derivata dall’ambiente artistico romano, in particolare si coglie una palese adesione al magistero artistico del Maratta: alcune opere sue o di scuola sono presenti anche nella vicina Tarquinia. L’atmosfera elegiaca, i colori pastosi e crepuscolari, poi, fanno propendere per una datazione dell’opera sul finire del’600, quando il linguaggio del Maratta molto rimembrava lo stile dei bolognesi Reni e Domenichino.
La complessa strutturazione del dipinto trova un suo mediato confronto in una tela raffigurante la Madonna del Carmine e santi, conservata presso la collegiata di  S .Barnaba a Marino (Rm), autografa di Luigi Garzi, allievo insieme al Maratta del classicista Andrea Sacchi.
Ambedue le tele hanno subito manipolazioni e ritocchi e sono state anche notevolmente rifilate: sul dipinto con le Anime Sante del Purgatorio non è possibile stabilire l’entità della menomazione; l’altra tela, invece, è tagliata di oltre cm. 30 in altezza e circa cm. 10, in larghezza. Probabilmente questo drastico restauro ha avuto luogo successivamente alla visita pastorale effettuata nel 1779 dal vescovo Giuseppe Garampi,’9 il quale trovò la chiesa in pessime condizioni e invitò fermamente la comunità a procedere ad un immediato restauro. Nella medesima visita pastorale è anche menzionata l’esistenza di una confraternita del Rosario, probabile committente della tela con la Madonna del Rosario, patrona dell’altare omonimo che, a quell’epoca, recava la seguente iscrizione: "altare privilegiatum pro singulis Sabbatis et die com(memorationis) def(unctorum) et tota ejus octava". Il vescovo Garampi non trovò il documento relativo a questo privilegio e incaricò di ulteriori ricerche il parroco, sospendendo, però, temporaneamente il privilegio, trasferito all’altare delle Anime Sante del Purgatorio20.
L’oratorio del 5. Sepolcro, recentemente restaurato, dopo decenni di incuria e i danni causati dal sisma del 6 febbraio 1971, si compone di un ampio vano completato da una piccola stanza, attualmente deposito degli arredi della confraternita del SS. Sacramento, e una cappella con altare. Questa è decorata da affreschi frammentari di modesta fattura raffiguranti un ciclo sul tema della morte e resurrezione. Le scene, tratte dai vangeli, raffigurano Cristo che appare alla Maddalena e le pie donne al sepolcro, cui l’angelo annuncia l’avvenuta resurrezione, sulla parete sinistra; Pietro e Giovanni al sepolcro, trovato vuoto e con il sudano ripiegato, e Gesù che affianca due discepoli sulla strada per Emmaus, sulla parete destra. Sulla volta a botte compare Cristo trionfante, nell’apoteosi della resurrezione, meùtre lascia il sepolcro tra bagliori luminosi resi con stridente accostamento di giallo e rosso ruggine, circoscritti da rozze nuvolaglie grigie e azzurre.
Opera di questo modestisstimo decoratore sono anche i due angeli portacartiglio ai fianchi di una Crocifissione, dipinta entro una cornice di stucco, sulla parete di fondo; che pertiene, invece, a tutt’altra mano.
Questo secondo artefice, pur nella sua modestia, interpreta la scena con sobrietà ed eleganza: il Cristo morente sulla croce si staglia su un fondo azzurro che stinge verso toni grigi e sovrasta un paesaggio naturalistico accennato con pochi tocchi. La composizione statica e bloccata trova una sua nota di dinamicità nel lembo svolazzante del perizoma. Inginocchiata ai piedi della croce ed avvinta ad essa compare, solitaria, la figura piangente ed impietrita della Maddalena; la sua massa triangolare si fonde con il terreno quasi a rappresentare il naturale supporto della croce.

47.jpg (229054 byte)

. L’abbandono mistico che promana da questa scena, suggerisce quale suo sfondo culturale il complesso di dottrine religiose che si richiamano al quietismo cinque-seicentesco e, nell’ambito di queste coordinate cronologiche, successivamente al 1573, data del ripopolamento del paese, è da collocare questa crocifissione.
Le altre mediocri scene, sicuramente successive, sono però, eccessivamente indefinite nelle loro componenti stilistico-formali per proporne una più puntuale datazione.
Nel vano più grande dell’oratorio si trova una tavola lignea dipinta sulle due facce con le immagini della Immacolata Concezione e di s. Rocco, copatrono del paese.
La tavola, prima del recente restauro, era conservata nei locali della sacrestia.
La figura di s. Rocco mostra una immagine del santo molto giovanile, contra distinto dai suoi attributi canonici (il bordone del pellegrino e il cane) e staglia su uno sfondo dominato da un compatto cielo grigio che incombe su un miniaturist co paesaggio naturalistico con una fortificazione e un villaggio. La tavolozza, c si esprime con colori freddi, appena vivacizzati dal ricco mantello rosso vivo, il si golare rossore soffuso sul volto pieno incorniciato da una aureola di lunghi cape ricci, denota in questo artista una forte ascendenza nordicizzante che trova confe ma anche nei caratteri somatici. Una bella cornice, purtroppo frammentaria, ornat da un classico motivo ad ovuli e fuseruole, delimita il contorno.
Anche l’Immacolata risponde alla medesima impostazione ideale: essa ha le fa tezze gentili e fini di una fanciulla, il capo scoperto e il bell’ovale del volto incorn ciato da una folta chioma; è rivestita di una tunica rossa e di un mantello azzurr Le fanno corona una corte di cherubini che emergono da un denso fondo scuro di gradante dal marrone al blu scuro all’azzurro. E’ sostenuta da una falce di lunaCon probabilità questa tavola bifacciale è nata come macchina processional e può essere datata alla seconda metà del ‘500. A questo proposito è da sottolinear come ancora oggi per le feste patronali di s. Rocco, vengano portate congiuntamen te in processione sia la statua dell’Immacolata che la statua di s. Rocco, venerat poi insieme per sette giorni nella chiesa parrocchiale.

 

 



Testi e fotografie: F. Ricci, L. Santella, D. Stoppacciaro (ccbc/Amm.ne Prov.le)

Progetto web: G. CERICA (ccbc/Amm.ne Prov.le)