Caratteri ambientali

Le popolazioni di diverse culture che hanno popolato l'Etruria Meridionale, comunemente definita anche Tuscia o Alto Lazio, hanno usato in modi diversi le risorse offerte dal territorio. Prendendo in considerazione un arco cronologico che parte dal primo millennio a.C., si nota una prima differenza in base ai criteri con i quali le popolazioni hanno scelto i siti sui quali stabilire i propri insediamenti stabili. Ricerche del genere hanno una lunga tradizione, in Italia e all'estero, e da parte di studiosi di numerose discipline: molte conoscenze, pertanto, sono ormai scontate. Per esempio, un sito costituito da una superficie pianeggiante o a debole pendenza, che però termina improvvisamente con uno strapiombo si può considerare ben difeso dalla natura su un lato; se i lati ben protetti in questo modo sono due, la posizione risulta ancor più sicura. Questo criterio guida, d'altro canto, si può considerare in qualche modo strutturale negli esseri umani, e risulta esser stato seguito in tutto il mondo, in molti periodi storici turbolenti.

La formazione di siti naturalmente difesi dipende dalla geologia e dalla climatologia di una regione, e nel nostro caso la climatologia è caratterizzata da valori assolutamente medi. Pur se con variazioni tra la zona costiera, la fascia collinare e la piana del Tevere, la piovosità media si attesta comunque attorno ai 900 mm annui, le temperature medie annue passano dai 15 °C sulla costa ai 12 nella zona tiberina, in entrambi i casi con escursioni tra inverno ed estate di 15-18 °C. Secondo la classificazione di Köppen (che è il caso di spiegare, pur se abbastanza nota) le caratteristiche di tutta la regione esaminata possono venire espresse con la formula climatica Csa. La lettera "C" si riferisce ai climi mesotermici (o temperati), con temperatura media del mese più freddo compresa tra 18 e -3 °C. La lettera "s" minuscola in seconda posizione è l'iniziale del termine tedesco sommertrocken, cioè estate secca, e indica un regime di pioggia con accentuato minimo estivo, (in particolare, la pioggia che cade nel mese estivo meno piovoso non giunge a un terzo di quella del mese invernale più piovoso). La lettera "a" minuscola in terza posizione, infine, sta a significare che la temperatura media del mese più caldo supera i 22 °C. A voler andare ancor più in dettaglio, si potrebbe aggiungere nella zona tiberina una quarta lettera, una "n", iniziale del tedesco nebel, nebbia, per indicare la presenza di nebbie invernali, in genere durante le prime ore del mattino. In conclusione, quindi, nella regione si possono distinguere tre varietà climatiche: a) Csa a influenza marittima, in una fascia costiera ampia anche più di 25 km, dove le altezze rimangono generalmente inferiori ai 200 metri; b) Csa di tipo collinare, nella zona adiacente alla prima verso l'interno fino allo spartiacque, e anche nella zona non lontana dal mare, quando le quote superano i 200-250 metri; c) Csan nel versante che dà verso la valle del Tevere. In ogni caso, la variazione tra la costa e l'interno è piuttosto contenuta, e non si può attribuire al clima una funzione primaria nell'aver determinato la scelta degli insediamenti.

In queste condizioni climatiche, nella zona in cui dal Tirreno le quote salgono con dolci ondulazioni fino ai circa 300 metri della Cassia si possono distinguere principalmente tre ambienti bioclimatici, la cui diversità è dovuta alla morfologia di dettaglio più che alla maggiore o minore distanza dal mare:

  1. Le zone più pianeggianti, dove non si può dire che sia svantaggiata la vita arborea, ma è indubbiamente favorita quella erbaceo-arbustiva. Per l'uomo si tratta anche di quella di più facile utilizzazione, e pertanto ormai da millenni è diventata sede di attività pastorali e agricole. Nell'insieme, escludendo ovviamente i tratti in coltivazione (cereali e ortaggi), nelle zone dedicate al pascolo prevale oggi una prateria secondaria interrotta da frequenti boschetti residuali di roverella con sottobosco ricco di arbusti spinosi, con esempi di flora residuale di periodi più caldi, quali le numerose orchidee selvatiche. In merito al pascolo, va segnalata la presenza di un notevole allevamento brado di bovini e cavalli maremmani.
  2. Tutt'altra situazione si riscontra nelle forre, dove l'uomo non ha quasi turbato l'ambiente naturale a causa delle forti pendenze, come nella foto che mostra sotto Blera l'incisione del Biedano e il ponte romano.
  3. La vegetazione è particolarmente ricca non solo lungo le rive dei corsi d'acqua, favorite dai microclimi più umidi, ma anche sui versanti, dove hanno tutto il tempo per svilupparsi alberi quali ontani, carpini e, in punti più riparati, anche faggi. Il sottobosco è meno ricco che nelle pianure, e vi abbondano felci e muschi. Sempre per via della minore frequentazione umana, nelle forre sono numerosi tassi, istrici, volpi, faine e roditori, oltre a numerosi rapaci notturni e diurni.

  4. Terzo ambiente morfologico è quello degli sproni di roccia vulcanica, che si allungano restringendosi progressivamente per centinaia di metri alla confluenza di corsi d'acqua che, pur se modesti, hanno scavato le profonde forre di cui si è appena parlato. In condizioni di naturalità si trova la macchia mediterranea, con vari tipi di querce di media taglia, tra le quali sono numerosi anche i noccioli e i castagni; è l'habitat preferito dei cinghiali e di rapaci come le poiane, che predano i piccoli roditori. Notoriamente, questo nella Tuscia è stato anche, fin dalla più remota antichità, l'ambiente preferito per gli insediamenti umani, quello dei classici siti naturalmente difesi.

Nella zona dei rilievi più elevati, dalla cinta craterica di Bolsena agli apparati del Cimino e di Vico, le condizioni morfologiche sono meno favorevoli per l'agricoltura, e questo ha consentito migliori condizioni alla vegetazione naturale, che infatti vi si conserva su spazi più ampi. Ci si trova nelle fasce del castanetum e, nelle zone sommitali, del fagetum: l'opera umana in ogni caso si è risentita, considerando che in epoca romana si parlava della Cimina Silva come di una foresta assolutamente impenetrabile, paragonata a quelle più fitte e oscure dell'Europa centro-settentrionale. Scendendo verso la valle del Tevere si torna verso i boschi di querce meno fitti, pur se ricchi di sottobosco, e man mano prende spazi sempre più ampi l'attività agricola.

Quel che ha portato gli insediamenti a privilegiare i siti difesi è stata la ricerca di sicurezza, ma la caratteristica della regione in esame sta nel loro numero decisamente elevato: a determinare questa particolare abbondanza sono state in primo luogo le caratteristiche geologiche. Per una ricerca di Geografia Storica non è stato necessario un approfondimento particolare, e sono stati sufficienti alcuni temi desunti dalle cartografie vettoriali, Geolitologia e Cliviometria,  in scala 1:50.000 curate della Regione Lazio e vettorializzate dall'Alpha Consult srl di Roma.  Dalla Carta Geologica si è reputato sufficiente rilevare gli affioramenti indicati con la lettera "v" (cioè i materiali piroclastici, quali tufi, pozzolane, ignimbriti); essi risultano ben differenziati da quelli sedimentari. Nell'ambito di questi, è nota la distinzione tra le rocce meso-cenozoiche (formazioni della Tolfa e del Soratte) e quelle più recenti (argillose e sabbiose) verso la valle del Tevere e sulle coste. Con le funzioni GIS di overlay topologico, predisposte con il programma di desk top gis, GDL 2000, la classe  "v" dei litotipi e' stata sovrapposta con le classi 5 (ripido) e 6(estremamente ripido), della Carta delle Pendenze creando l' Overlay tra geologia e pendenze.

Dal punto di vista geologico, e per quanto riguarda il vulcanismo, la limitazione nel considerare tutti i materiali come piroclastici è giustificata dal fatto che gli affioramenti lavici sono estremamente limitati; in riferimento al sedimentario, inoltre, i materiali vulcanici si trovano sempre al di sopra, e sono quindi più giovani, salvo occasionali e limitate coperture di depositi recenti (se non addirittura contemporanei). Per quanto concerne il sedimentario, predominano assolutamente le argille e sabbie plio-pleistoceniche: rocce ben differenti per quanto concerne la permeabilità, ma abbastanza simili per quanto riguarda la facile erodibilità. Le sole eccezioni sono le rocce mesozoiche presenti, e cioè:

  1. le arenarie, marne e calcari della Tolfa, tra le quali si intercalano argille in abbondanza, a costituire un tipo di formazione che i geologi chiamano (con denominazione elvetica) flysch, e che nell'insieme si comporta come una massa abbastanza plastica;
  2. una specie di intruso calcareo rigido, il Monte Soratte, che a fine Pliocene era ancora un isola (situazione non troppo modificata per il fatto di essere oggi circondato da tufi e argille invece che da acqua).

Il dato determinante per la formazione dell'elevato numero di siti naturalmente difesi è stato senza dubbio quello relativo alla erodibilità dei materiali vulcanici, con un comportamento leggermente, eppure significativamente, diverso tra i tufi e le ignimbriti, materiali entrambi prodotti nel corso di esplosioni parossistiche. I primi derivano da esplosioni che hanno proiettato ad altezze notevoli materiali polverizzati, eventualmente dispersi immediatamente dal vento, ancora in quota; in ogni caso, questi materiali ricadevano in un tempo non troppo lungo al suolo, coprendolo con uno strato il cui spessore andava diminuendo lentamente con la distanza dal punto di emissione. Le ignimbriti sono invece derivate da esplosioni che hanno portato alla emissione tumultuosa dal cratere di una nube ardente, composta da un fluido gassoso denso, a temperatura di alcune centinaia di gradi, trasportante materiali di dimensioni varie, da polveri e pomici a brandelli di lava già in parte consolidate (scorie), come anche frammenti di roccia strappati dalle pareti della camera magmatica sottostante. Le nubi ardenti si spandono dai crateri a velocità iniziale di centinaia di km orari, e coprono il territorio con spessore diverso (maggiore nelle depressioni, minore sulle alture), tendendo ad attenuare tutti i dislivelli della morfologia preesistente.

L'apparato Sabatino, il cui elemento più vistoso è oggi il lago di Bracciano, ha prodotto in prevalenza tufi, mentre gli apparati di Vico, Cimino e di Bolsena hanno prodotto in prevalenza ignimbriti, pur se va comunque tenuto presente che non mancano ignimbriti nel primo caso e tufi nel secondo. Alimentati da magmi appartenenti alla cosiddetta "famiglia comagmatica laziale", tutti ricchi di potassio e abbastanza simili tra loro, questi apparati hanno dato luogo alla formazione di prodotti simili prima tra tutti l'ignimbrite comunemente definita "tufo rosso a scorie nere". A prima vista risultano simili le rocce dei tumuli di Cerveteri e delle abitazioni di Ronciglione e Sutri, delle necropoli rupestri di Norchia o dei mostri di Bomarzo, che pure all'analisi chimica risultano indubbiamente diverse.

Tornando all'erosione, le acque scorrenti erodono facilmente i tufi e trovano nelle ignimbriti una resistenza maggiore, ma non di molto: di conseguenza, in entrambe queste formazioni vulcaniche i corsi d'acqua, anche modesti, sono stati in grado di incidere profondamente in un tempo di qualche decina di migliaia di anni, quindi geologicamente molto breve. Una differenza rilevante, invece, presentano queste rocce nei riguardi degli agenti atmosferici (umidità, calore, vento): i tufi vengono attaccati rapidamente, dando luogo in breve a forme arrotondate, mentre nelle ignimbriti le pareti delle incisioni si mantengono a lungo subverticali. In conclusione, è frequente che una zona originariamente spianata dalle ignimbriti risulti, col passare delle decine di millenni, profondamente incisa da corsi d'acqua anche modesti: le pareti delle incisioni rimangono quasi verticali perché il materiale è in grado di resistere molto al vento e alle alternanze di caldo e freddo (che nella zona, peraltro, non sono troppo forti).

Il dato relativo alle pendenze è stato limitato, per non appesantire troppo le carte, alle classi 5 e 6, che sono risultate quelle delle pareti delle forre, mentre le aree con classi a pendenza minore sono quelle utilizzate dalle popolazioni per i propri insediamenti. Tutti i centri preromani e quelli di maggior sviluppo nel Medio Evo sono stati fondati in posizioni di questo genere.