Via Cassia Cimina

La variante della Cassia detta al tempo Via Ciminia, prese grande importanza quando, tra il X e l’XI secolo, Viterbo divenne la città assolutamente dominante dell’Etruria meridionale. Fino ad allora la Cassia vera e propria nel tratto tra le falde dell’apparato Vulsino, ai piedi di Montefiascone, e Sutri seguiva un percorso con pochi dislivelli, abbastanza prossimo al tracciato della statale odierna. Passava poco a ovest di Viterbo, per il centro allora più importante, cioè San Valentino, puntando verso Vetralla e Capranica. Per la precisione, le stationes che sono indicate in questa zona nella Tabula Peutingeriana sono Forum Cassii e Vicus Matrinus, entrembe spostate di qualche chilometro rispetto a Vetralla e Capranica. L'importanza di questo tratto della Cassia passò in secondo piano parallelamente al crescere della potenza di Viterbo, come si è detto, a favore della Cimina.

Attualmente, passato circa un millennio, per chi viene da Roma la Cassia Cimina, si distacca dalla SS n.2 Cassia all’altezza di Monterosi, a poco meno di 250 metri di altezza: le due vie giungono a Viterbo percorrendo una distanza praticamente identica, ma il percorso non potrebbe essere più diverso per quanto riguarda la morfologia del territorio traversato. Per la SS n.2 il tracciato è appena ondulato, se non addirittura pianeggiante: si sale in circa 16 km, a 470 metri (tra Capranica e Vetralla), per poi scendere in un tratto simile ai 330 di Viterbo. La Cimina giunge ai 440 metri di Ronciglione in una dozzina di km, per poi salire in dieci chilometri abbastanza speditamente agli 864 del Passo del Cimino, scendendo infine ancor più ripidamente su Viterbo, in poco più di nove chilometri. Fino al XIX secolo, però, la Ciminia da Ronciglione non andava verso Monterosi, ma con un percorso più breve si raccordava alla Cassia a Sutri.

Nel corso della storia questa variante, che già esisteva in epoca romana, giunse alla massima importanza in seguito alla crescita della potenza di Viterbo, assurta al ruolo di centro dominante dell’Alto Lazio. In precedenza la Cassia scendeva da Montefiascone verso la pianura, puntando al centro di San Valentino, ma questa fu una delle cittadine totalmente distrutte dai viterbesi nel corso degli scontri più cruenti. A quel punto la via di maggior traffico da Montefiascone venne rapidamente dirottata su Viterbo. Una volta giunti qui gran parte dei viandanti in cammino verso Roma, anziché tornare verso la piana, proseguivano salendo lungo la Ciminia. In precedenza questa via era considerata malsicura per il grande sviluppo della foresta detta Selva Cimina, che i Romani descrivevano come impenetrabile e oscura al pari di quelle germaniche. Aldilà della possibili esagerazioni, indubbiamente i boschi potevano offrire rifugio ai briganti ed essere pericolose per i viandanti. Molto probabilmente l'accresciuta potenza di Viterbo portò a un più efficace controllo, almeno lungo il percorso della strada.

Lo spostamento della via di grande percorrenza da ovest a est rispetto all’apparato di Vico, con il conseguente più che probabile aumento della sicurezza, fu un elemento favorevole per lo sviluppo di molti centri posti sul versante orientale del Cimino-Vico, aperto verso la valle del Tevere. Si tratta di centri in posizione simile, ricercata fin dall'antichità; quella posizione naturalmente difesa su sproni rocciosi difficilmente accessibili, presenti in notevole quantità nella zona, favorita da questo punto di vista dalla sua costituzione geologica. L'aumento delle relazioni mantenute con Viterbo da tutti questi centri portò allo sviluppo di vie di comunicazione raccordantisi alla Cimina, invariabilmente tracciate lungo i crinali; si è venuta così a costituire una raggiera di strade, che si è sviluppata però quasi solo sulla metà orientale della cresta della caldera di Vico. A questa circostanza si deve il fatto che quella Selva Cimina, considerata impenetrabile e spaventosa in epoca romana, si è conservata maggiormente sul lato occidentale e meridionale del vulcano. Il toponimo di Carbognano, centro situato a 400 metri di quota sul versante tiberino del vulcano di Vico, deriva dalle numerose carbonaie della zona, cui ha dato per secoli alimento quella Selva un tempo impenetrabile.